Passa al contenuto principale
Spedizione gratuita da 99€

Che cos’è la dieta chetogenica?

Con il termine dieta chetogenica si definisce un regime alimentare basato su una drastica riduzione dell'assunzione di carboidrati, associata o meno con un relativo aumento della quota di proteine e grassi (24). Lo stato metabolico delle diete chetogeniche è riconducibile, per molti versi al digiuno; anche nel digiuno infatti si instaura quello stato metabolico particolare conosciuto sotto il nome di chetosi. I primi studi scientifici approfonditi su questa condizione metabolica furono quelli condotti dal gruppo di Cahill negli anni '60 partendo appunto dalla condizione di "fasted" o "a digiuno" (9, 22). Quella del digiuno è infatti una pratica, o meglio una tecnica, usata da millenni per raggiungere particolari stati di benessere spirituali durante rituali o pratiche religiose. Anche nell’antico Testamento come nel Corano e nel Mahabharata si fa cenno a questa pratica ascetica.



Possiamo trovare un riferimento al digiuno ad esempio in Matteo (17:14-21) dove, nell'episodio dell’ epilettico guarito, si dice: "Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno"; e non a caso si parla di digiuno a proposito di epilessia in quanto è noto fin dagli anni 20 del secolo scorso come la chetosi ( e quindi il digiuno) sia in grado di migliorare alcuni tipi di epilessia (29). Ovviamente uno dei problemi del digiuno è il progressivo depauperamento delle riserve proteiche dell’organismo. Le diete chetogeniche moderne invece cercano di indurre uno stato di chetosi fornendo però un apporto proteico adeguato in modo da mantenere la massa magra, sono state spesso chiamate infatti anche digiuno modificato "modified fasting diet" (5) o diete a bassi carboidrati ed a risparmio proteico "low carbohydrate protein sparing modified diet" (3).

Ma queste diete hanno conosciuto una forte diffusione a partire dal 1972 con la pubblicazione del libro Dr. Atkins (2)  che proponeva una drastica riduzione dei carboidrati ai fini di un rapido ed efficace dimagrimento. Dalla pubblicazione di quel libro gli studi sulle diete chetogeniche si sono moltiplicati ma, nonostante la dimostrata efficacia sulla riduzione del peso corporeo nonché sulla riduzione dei markers dell’infiammazione e del rischio cardiovascolare (33), quest’arma terapeutica viene spesso ignorata o rifiutata da molti professionisti del campo della nutrizione.  Questo rifiuto aprioristico è spesso motivato da una scarsa conoscenza dei meccanismi legati alla chetosi.

Cos’ è la chetosi?


Senza carboidrati il nostro corpo non può seguire le vie metaboliche che utilizza solitamente per assimilare i grassi. Dopo pochi giorni di digiuno o di dieta con riduzione drastica dei carboidrati (meno di 20 g al giorno) il glucosio di riserva del corpo diventa insufficiente per consentire sia la normale ossidazione dei grassi attraverso la fornitura di ossalacetato nel ciclo di Krebs che il rifornimento di glucosio al SNC (sistema nervoso centrale) (21, 22). Per quanto riguarda il primo punto, e cioè la fornitura dell’ossalacetato al ciclo di Krebs (che giustifica la frase :”i grassi bruciano alla fiamma degli idrati di carbonio”), bisogna ricordare come l’ossalacetato sia relativamente instabile alla temperatura corporea e non possa quindi essere accumulato nella matrice mitocondriale. Vi è allora la necessità di rifornire il ciclo degli acidi tricarbossilici di ossalacetato attraverso il ciclo anaplerotico che dal glucosio porta appunto all’ossalacetato, attraverso la carbossilazione ATP dipendente dell’acido piruvico per mezzo della piruvato-carbossilasi (biotin-enzima ATP dipendente) (29).



Per quanto riguarda il secondo punto, è risaputo che non potendo utilizzare i grassi a scopo energetico (poiché non possono passare la barriera ematoencefalica), il SNC utilizza normalmente il glucosio; quindi dopo i primi 3/4 giorni di assenza di carboidrati nell’alimentazione il SNC è “costretto” a trovare delle fonti alternative per rifornirsi di energia, come dimostrato dagli studi ormai storici del gruppo di Cahill (11). Questa fonte alternativa di energia sono i CC prodotti a partire dall’eccesso di acetil-CoA, CC che il SNC è in grado di utilizzare a scopo energetico. Questi corpi chetonici prodotti nelle particolari condizioni metaboliche già elencate (digiuno prolungato, diabete, iperalimentazione lipidica e diete verylowcarb),  sono più precisamente: acido acetoacetico (AcAc); acido β-idrossibutirrico (3HB) e acetone. La produzione dei corpi chetonici prende il nome di chetogenesi ed avviene in particolare nella matrice mitocondriale del fegato.

Il principale corpo chetonico è l’acetoacetato da cui si produce per spontanea decarbossilazione l’acetone. L’acetone è la causa del caratteristico e sintomatico “alito fruttato” riportato dai testi di medicina interna: assume dunque  una certa importanza dal punto di vista clinico. Il 3 idrossibutirrato non è invece, strettamente parlando, un corpo chetonico perché la parte chetonica è ridotta ad un gruppo idrossilico. In condizioni normali la produzione di acido acetoacetico libero è trascurabile e questo composto, trasportato in circolo, viene facilmente metabolizzato in vari tessuti ed in particolare nei muscoli scheletrici e nel cuore. In condizioni di sovrapproduzione l’acido acetoacetico si accumula ed una parte di esso viene trasformato negli altri due corpi chetonici.

La presenza in circolo dei CC e la loro eliminazione con le urine causano la chetonemia e la chetonuria. L’eliminazione dell’acetone, essendo un composto molto volatile, avviene prevalentemente con la respirazione polmonare. La via che porta alla formazione di HMG-CoA (idrossimetilglutarilcoenzimaA) da acetil-CoA è presente anche nel citosol delle cellule epatiche, dove viene invece utilizzato per la biosintesi del colesterolo. I CC derivano quindi da un processo che avviene nel fegato a carico dei grassi. In condizioni normali i CC sono in concentrazioni molto basse (<0,3 mmol) rispetto al glucosio (circa 4mmol). Dal momento che il glucosio ed i corpi chetonici hanno una KM (costante di Michaelis-Menten) simile per il trasporto del glucosio a livello cerebrale, i CC incominciano a venire utilizzati a livello del SNC quando arrivano ad un valore di circa 4 mmol/L , che è quello del trasportatore delle monocarbossilasi anche se i dati delle letteratura clinica ci dicono che i valori durante una dieta VLCKD si aggirino intorno ai 1-3 mmol/L di corpi chetonici ematici. Ci preme sottolineare come la chetosi sia un meccanismo del tutto fisiologico che ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere e rimanere efficienti anche in caso di privazione di cibo (1). Il biochimico Hans Krebs fu il primo a parlare di chetosi fisiologica per distinguerla da quella patologica della cheto acidosi diabetica (18).



Nella chetoacidosi è anche possibile misurare la concentrazione ematica (oltreché urinaria) di Acetoacetato e 3-IdrossiButirrato. Si usa soprattutto nel controllo della cheto acidosi diabetica in associazione con il rapporto lattato/piruvato. La doppia misura del rapporto Lattato/Piruvato e 3-IdrossiButirrato/Aceto-acetato è inoltre un indice dello stato redox dell’organismo correlato al rapporto NAD+/NADH.



Il 3-IdrossiButirrato appare comunque esser un miglior indicatore di quanto non sia l’Acetoacetato; e il rapporto dei CC dà un’informazione di grande utilità nella valutazione metabolica. Il rapporto normale 3HB / Aceto-acetato è 3:1 ma nelle chetosi si hanno valori anche di 6:1 e sino a 12:1.



Nella chetosi fisiologica (che si raggiunge durante il digiuno e le diete VLCKD) la chetonemia raggiunge livelli massimi di 7/8 mmol/L con un pH invariato, mentre nel diabete scompensato essa raggiunge e supera le 20 mmol/L con abbassamento del pH(28, 29). I valori ematici dei CC non superano, nell’individuo sano, le 8 mmol/L perché il SNC appunto utilizza con efficienza queste molecole a scopo energetico in sostituzione del glucosio. Come precedentemente detto i valori ematici durante una VLCKD si aggirano intorno a 1-3 mmol/L mentre la glicemia intorno a 4-4,4 mmol/dL.

I corpi chetonici vengono utilizzati dai tessuti a scopo energetico (31) attraverso una via che prevede che il 3HB venga riconvertito ad AcAc dalla D-b -idrossibutirrato deidrogenasi. Successivamente l’acetoaceato si trasforma in AcetoacetilCoA grazie all’intervento della b-chetoacetilCoA transferasi (con la donazione del CoA dal SuccinilCoA), ed infine dall’AcetoacetilCoA si formano due molecole di AcetilCoA grazie alla tiolasi; queste due molecole verranno poi utilizzate nel ciclo di Krebs. È interessante notare che i CC sono in grado di produrre più energia rispetto al glucosio, infatti l’alto potenziale chimico di D-β-idrossibutirrato porta ad un aumento dellaΔG0nell’idrolisidell’ATP (38).

È stato dimostrato che i CC potrebbero aumentare l'efficienza idraulica del cuore del 28% e questo effetto non può essere spiegato solamente con i cambiamenti nella via glicolitica, ma piuttosto dalle variazioni indotte nella produzione di ATP mitocondriale da parte di corpi chetonici (17, 32). Altro punto da sottolineare, come evidenziato dalla tabella 1, è che la glicemia, pur abbassandosi resta a livelli fisiologici (29). Infatti il glucosio che si forma dagli aminoacidi gluconeogenetici e dal glicerolo liberato dalla lisi dei trigliceridi è sufficiente per il mantenimento dell’euglicemia (39).



C'è da dire che la chetosi è un fenomeno strettamente legato alla specie umana (cioé l'uomo è più facile alla chetosi rispetto ad altri mammiferi) e questo particolarità è da ricercarsi nel rapporto cervello/massa corporea che nell'uomo è decisamente più alto rispetto agli altri animali. Questo comporta che il glucosio prodotto con la neoglucogenesi ( a partire dagli aminoacidi) non sia sufficiente per entrambe le funzioni fondamentali (cervello ed ossalacetato) e che quindi il SNC sia stato "obbligato" a sfruttare al meglio un carburante alternativo e cioè i corpi chetonici; in questo modo il glucosio prodotto tramite la neoglucogenesi ( e con il passare dei giorni anche quello prodotto a partire dal glicerolo dei trigliceridi acquista una sua importanza; più del 16% del glucosio prodotto dal fegato durante una dieta chetogenica e circa il 60% durante un digiuno completo)(7, 37) .


Vi sono molte ricerche che confermano come le diete chetogeniche siano più efficaci delle diete ipocaloriche classiche nella perdita di grasso, almeno nel medio termine (8, 23). I meccanismi alla base di questo effetto non sono chiari ma si possono ipotizzare una serie di cause: una di queste è la suggestiva ipotesi che vi sia vantaggio metabolico che potrebbe spiegare l’effetto importante delle VLCKD sulla perdita di peso. Gli autori che sposano questa linea di pensiero ipotizzano che l’utilizzo, a scopo energetico, delle proteine nelle VLCKD sia un processo “costoso” per l’organismo e che quindi possa portare ad uno” spreco di calorie” (12). In una dieta molto povera di carboidrati il nostro corpo, infatti, ha bisogno nella prima fase di circa 60-65grammi di glucosio al giorno che viene ricavato in minor parte (16%) dal glicerolo e per la maggior parte dalla gluconeogenesi delle proteine alimentari o tissutali.

Il ruolo della spesa energetica per la gluconeogenesi nelle VLCKD è stato confermato da diversi autori (19, 39, 41, 42) ed il costo di questo processo (a partire dalle proteine endogene e da quelle alimentari) è stato calcolato essere circa a 400-600Kcal/giorno (10). Anche se non vi sono in effetti dati definitivi su questo aspetto (29). Un altro fattore da tenere in considerazione è l’azione dinamico specifica degli alimenti ora denominata effetto termico dei nutrienti (thermogenicresponse to food). Tale parametro calcola la spesa energetica che il nostro organismo deve sostenere per assorbire e metabolizzare i nutrienti. Tale spesa energetica ammonta, facendo una media della letteratura, a 7%, 2,5% e 27% delle calorie apportate da, rispettivamente, CHO, grassi e proteine (16).



È intuitivo che modificando i rapporti dei nutrienti potremo agire su questo aspetto della spesa calorica giornaliera. Un altro aspetto che recentemente sembra essere emerso è la minore influenza che sembrano avere le diete chetogeniche sui mediatori della fame (grelina) e della sazietà (PYY, CCK, ecc).; sembra infatti che le diete ipocaloriche provochino un aumento dei segnali di fame e riduzione di quelli di sazietà anche a distanza di mesi dalla fine della dieta mentre le diete chetogeniche sembrano influenzare in maniera minore questo scenario (34, 35). Vi sono infine dati preliminari che sembrano indicare come le diete chetogeniche agiscano sul metabolismo abbassando il quoziente respiratorio (rapporto tra CO2 espirata ed O2 consumato) indicando quindi un uso privilegiato dei grassi rispetto agli zuccheri (25, 27, 36).



Riassumendo, possiamo quindi affermare che l’effetto sul calo ponderale delle diete VLCKD sembra essere causato da diversi fattori:


  • riduzione dell’appetito grazie all’azione delle proteine e dei corpi chetonici, anche se il meccanismo di questi ultimi non è stato ancora ben chiarito;
  • minore influenza sui "segnali" legati alla fame ed alla sazietà rispetto alle diete ipocaloriche classiche;
  • riduzione dei meccanismi di liposintesi ed aumento dei meccanismi lipolitici;
  • diminuzione del quoziente respiratorio a riposo. Il quoziente respiratorio o QR rappresenta il rapporto tra CO2 prodotta e O2 consumato (CO2/O2); il QR degli zuccheri è pari ad 1, mentre per una miscela di acidi grassi è 0,7;
  • aumento della spesa metabolica causata dalla gluconeogenesi e dall’azione termica delle proteine.

Dieta chetogenica, sindrome metabolica e diabete di tipo 2


È stato ampiamente dimostrato come la dieta chetogenica possa risultare utile nel migliorare gli outcomes della sindrome metabolica e del diabete di tipo 2. I meccanismi sono generalmente legati alla riduzione dei livelli di insulina circolanti, alla conseguente riduzione della glicemia, al miglioramento del profilo lipemico, in particolar modo ad una riduzione dei trigliceridi e ad un aumento dell'HDL con una consensuale riduzione dell'LDL ed un aumento della dimensione di queste ultime, fattore che contribuisce alla riduzione del rischio aterogenico (26, 33, 40, 43). La riduzione dell'insulina non agisce solamente sulla diminuzione del glucosio circolante ma anche sulla produzione endogena di colesterolo. Infatti i bassi livelli circolanti di insulina riducono l'attivazione della HMGCa reduttasi con una conseguente riduzione della produzione di colesterolo (30).

L'insulino resistenza sembra essere quindi il fattore chiave su cui agiscono le VLCKD, non solo nelle condizioni di prediabete o diabete di tipo 2 ma anche sulla popolazione in generale. L'efficacia dell'azione dell'insulina sulle cellule può mostrare vari gradi di disfunzione a loro volta legati a vari gradi di sintomi e segni. Nel caso di insulino resistenza i soggetti hanno difficoltà ad utilizzare il glucosio a livello muscolare ma anche a ridurre il rilascio di glucosio epatico. Soggetti con insulino resistenza utilizzano una maggior proporzione di glucosio a livello epatico dove sono convertiti in grasso (de novo lipogenesi) invece di essere ossidati a livello muscolare. Questi grassi entrano per la maggior parte in circolo come grassi saturi aumentando il rischio di diabete e patologie cardiovascolari. Questa condizione, più ampiamente conosciuta come ridotta tolleranza al glucosio può essere significativamente ridotta riducendo l'apporto di carboidrati ad un livello dove non vengano trasformati in grassi.



Molti studi ben controllati hanno valutato la risposta di soggetti con diabete di tipo 2 a diete chetogeniche nel breve e nel lungo periodo, dimostrando anche un'elevata compliance dei pazienti. In un lavoro oramai storico Bistrian e colleghi hanno dimostrato un calo dell'insulina ed una significativa perdita di peso nei soggetti affetti da diabete di tipo 2 durante una VLCKD ipocalorica (4). Stessi risultati ottenuti da Gumbiner (15) qualche anno più tardi in due gruppi con identica quantità di proteine ma uno in dieta chetogenica l'altro in dieta non chetogenica. Il gruppo a bassi carboidrati (con una concentrazione di corpi chetonici di circa 3 mmol/L ) aveva dimostrato un miglioramento di tutti gli outcomes collegati al metabolismo del glucosio.  Più recentemente Boden (6) ha studiato pazienti diabetici di tipo 2 sottoposti ad una dieta con meno di 20 grammi al giorno di carboidrati per 2 settimane.



La glicemia scese da 7.5 a 6.3 mmol/L e l'emoglobina A1c da 7.3 all' 6.8% con un miglioramento drammatico (75%) della sensibilità insulinemica misurata con il calmopeuglicemicoiperinsulinemico.  In uno studio più lungo Dashti ha studiato per 56 settimane soggetti diabetici di tipo 2 ed obesi sottoposti ad una dieta chetogenica dimostrando una significativa perdita di peso e miglioramento metabolico già a 12 settimane. Tale miglioramento proseguiva per tutte le 56 settimane portando ad un miglioramento della glicemia a digiuno (-51%), colesterolo totale (-29&), HDL-C (+63%), LDL-C (-33%) e trigliceridi (-41%). Altri studi confermano l'efficacia di una dieta chetogenica nel trattamento delle complicanze del diabete di tipo 2 (20, 44). Gli effetti delle diete chetogeniche non sono legati solo al calo di peso, infatti gli effetti metabolici positivi si manifestano anche in mancanza od equivalenza di perdita di peso (13, 14).